lunedì 27 marzo 2017

Il caso “Parliamone sabato” tra luoghi comuni e censura

Foto tratta da "Il Tempo".
Ciò che è accaduto durante la trasmissione condotta da Paola Perego, “Parliamone sabato su Rai Uno è diventato un vero e proprio caso su cui si dibatte da giorni. Una questione costata il posto alla presentatrice e la chiusura del programma.
A nulla sono serviti la difesa della stessa signora Perego durante il programma “Le Iene”, l’incredulità e lo stupore che ha dimostrato dopo essere stata letteralmente travolta dalla tempesta mediatica. I giornali e il web si sono scatenati, inutile dirlo; del resto sarebbe stato strano il contrario.

Eppure dobbiamo stare molto attenti a dare giudizi, soprattutto in casi come questo. Avete presente il detto secondo il quale non è mai tutto bianco o tutto nero? Ecco, stavolta ci troviamo di fronte a una scala di grigi che vale la pena osservare bene. Come sempre, prima di esporre una teoria o un’opinione dovremmo vagliare i fatti e mostrare una certa cautela di fronte al modo in cui ci vengono raccontati.

Stando a quanto ci riferiscono i giornali, la Rai e la signora Perego potremmo cercare di inquadrare l’accaduto in base a tre parole chiave: qualità, censura e telecomando (ovvero consapevolezza). Vediamole una per una.


Qualità: il programma incriminato, cioè “Parliamone sabato” ha affrontato un tema che, negli anni, è stato infarcito di luoghi comuni talvolta non molto edificanti: perché gli uomini preferiscono le donne dell’Est?

Non serve una laurea in astrofisica per comprendere che l’argomento non rientra nella rosa dei massimi problemi o dei temi intellettuali su cui si fonda l’esistenza dell’universo. La natura di una tale domanda lascia piuttosto perplessi: chi sono le “donne dell’Est”? Est inteso in maniera eurocentrica, d’accordo, ma di chi stiamo parlando in realtà?

Non esiste più un “blocco sovietico” e, comunque, ogni Paese di quella particolare area geografica ha un’identità storica e culturale ben precisa, dunque anche i suoi abitanti, nonostante i cambiamenti politici. Da molto tempo esiste questa sorta di “mito” della donna “dell’Est” su cui si è raccontato tutto e il contrario di tutto.

I luoghi comuni, del resto, agiscono così: il particolare viene sacrificato in nome dell’idea generale e generica, di solito per nulla esatta. Gli stereotipi si costruiscono su associazioni immediate spesso prive di ragionamenti e fondamenti (pensate a quanti ne esistono: gli italiani sarebbero tutti mafiosi, gli harem erano luoghi di lussuria e via di questo passo).

Eppure la verità non sta nei luoghi comuni; questi sono semplici da cercare, servono per analisi facilone e superficiali, mentre le vere indagini costano tempo e fatica, ovvero due elementi che il nostro cervello cerca spesso di evitare.

Dunque un tema come quello presentato nella trasmissione “Parliamone sabato” lascia interdetti per qualità e analisi.

Basta tutto questo per far chiudere un programma? La risposta potrebbe essere meno immediata di quanto sembri.


Censura: molti hanno valutato il dibattito in questione come offensivo ed è stato fatto notare come nessun provvedimento sia stato preso in altri casi simili accaduti in Rai. Perché, allora, accanirsi proprio su questo talk show e la sua conduttrice? Ci sono altri motivi dietro all’accaduto? Non si sa e, per quel che concerne tali domande, è d’obbligo sospendere il giudizio. Però possiamo fare altre considerazioni: la chiusura di “Parliamone sabato” ha creato un precedente per cui è possibile “censurare” alcuni argomenti e il modo in cui vengono trattati.

Lasciamo da parte, per un momento, la questione delle offese e la qualità del dibattito perché ne riparleremo tra poche righe. Soffermiamoci solo sul tema. Se prendiamo il fatto così come appare, noteremo che di un certo argomento, per quanto sciocco e pieno di stereotipi sia, non si può più parlare, almeno in determinate sedi.

Si è applicata una censura. E qui si aprirebbe un discorso ulteriore sul concetti di censura e democrazia, ma lascio che siate voi, se vorrete, ad approfondire, poiché non basterebbe certo l’articolo di un blog.

Veniamo al discorso delle offese e degli stereotipi che denigrano un individuo e un gruppo: un comportamento che tende a svilire, in modo più o meno evidente una minoranza, una nazione intera, una persona, un’idea non può far parte di un dialogo civile e non può essere accettato.

Tutto ciò è stato riscontrato nel talk in questione? (Al di là di ciò che pensiamo e abbiamo visto e sentito, oltre la nostra opinione, poniamoci comunque il problema). Se la risposta è negativa dovremmo farci qualche domanda sui concetti suddetti di censura e democrazia; se, invece, la risposta è affermativa, qualcosa non ha funzionato nella preparazione del programma, però rimane la riflessione sui concetti suddetti.

Secondo quanto dichiarato da Paola Perego tutti gli argomenti proposti vengono valutati e, in seguito, accettati o respinti (e non ho motivo per non crederle). Possibile che, in questo caso specifico, nessuno fosse a conoscenza del tema che sarebbe stato trattato e del modo in cui sarebbe stato affrontato? Anche qui le opinioni e le dichiarazioni sono contrastanti. Chi ha la responsabilità di quanto accaduto?

Magari l’argomento poteva essere analizzato, ma in maniera del tutto diversa, per esempio demolendo i pregiudizi, riportando i luoghi comuni per smentirli, cercando di capire da dove provenissero. Si poteva persino fare un confronto serio sul concetto di femminilità nel mondo, sul tipo di educazione che ricevono o meno le donne. Non so se un talk show simile avrebbe avuto un audience alto ma, forse, valeva la pena provare.

Parlando più in generale, poi, chi, eventualmente, denigra, offende dovrebbe sempre prendersi la responsabilità di ciò che dice. Noi tutti dobbiamo imparare ad approfondire il nostro pensiero oltre i cliché, ad accettare che un dialogo presupponga uno scambio di idee e che la comunicazione avvenga tra due o più persone che possono avere idee diverse. Questo è un punto che riguarda tutti i dibattiti televisivi e non.

Verba volant, però non è detto che le parole volino poi tanto lontano (in televisione, ma anche sul web).

Eppure…Censurare un programma per delle opinioni, per quanto grevi siano, può essere pericoloso per la libertà d’espressione? Il precedente creato potrebbe essere “modellato” in modo da facilitarne l’applicazione anche in casi non direttamente collegati?

Ritorniamo ancora una volta sul concetto di democrazia e su quanto ognuno di noi, individualmente, debba farsi carico del peso di ciò che dice. La responsabilità (intesa come consapevolezza), nello specifico, di chi fa un programma (non solo il conduttore) e di chi vi partecipa è fondamentale.

Credo davvero, però, che Paola Perego non volesse offendere nessuno e il suo stupore per il ciclone che l’ha travolta era vero, si vedeva. Purtroppo il dibattito è stato impostato male, finendo per sfuggire di mano.


Telecomando: la discussione sulla natura del servizio pubblico è aperta; tanti telespettatori puntualizzano il fatto che al pagamento del canone dovrebbero corrispondere programmi di un certo livello. Tutto giusto.

D’altra parte, però, non dimentichiamo mai di avere a disposizione “un’arma” di una certa importanza: il telecomando. Noi per primi dobbiamo essere consapevoli di ciò che vogliamo o non vogliamo vedere. Non voglio credere che ogni Paese abbia la televisione che si merita: trovo sia anche questo un luogo comune.

È vero che alcuni temi, anche superficiali, attirano più di altri e questo è un dato di fatto che non possiamo ignorare. Bisognerebbe imparare a bilanciare due necessità: quella dell’intrattenimento più impegnato e quella dell’intrattenimento più leggero, persino sciocco, perché no? (Purché non diventi avvilente, scadente e pieno di rabbiose invettive e polemiche. Su queste ultime punto potremmo parlare per ore).

Infine lasciamo stare i giornali esteri che amano visceralmente bacchettarci, ergendosi a paladini della morale, poiché tutti commettiamo errori, soprattutto chi urla quelli degli altri sperando di distogliere l’attenzione dai propri; anche in questo caso i cliché non funzionano, ovvero gli italiani non sono i soliti monelli da tirare per le orecchie.

Impariamo a selezionare, a scegliere, perché c’è in gioco il nostro tempo e, ci piaccia o no, non è illimitato.

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