domenica 27 gennaio 2019

Mafalda di Savoia. Il tragico destino di una principessa

“Italiani, io muoio, ricordatemi non come una principessa ma come una vostra sorella italiana.” 
Mafalda di Savoia 



Sua Altezza Reale Mafalda di Savoia
Pensiamo che le principesse e le regine vivano vite dorate, impossibili da scalfire, perfino quando sono il dolore e la sofferenza a bussare alle porte dei loro palazzi. La Storia, al contrario, ci ha insegnato che nessun uomo, per quanto ricco e potente, può considerarsi al riparo dalle tragedie e dal destino.

Nonostante ciò continuiamo a credere in questa illusione, una sorta di incantesimo che ci dona speranza, lasciandoci sognare a occhi aperti. Soltanto quando la realtà e il dramma irrompono nelle vicende umane, scuotendoci dal sogno, realizziamo quanto siano precarie le nostre esistenze, quanto siano fragili, impermanenti. Talvolta è necessario scavare nel passato per ritrovare il sogno perduto e capire perché e in che modo si sia frantumato contro la Storia. 

Proprio ciò che stiamo per fare rievocando una figura femminile mai dimenticata, eppure non abbastanza ricordata, elegante, altera e dolce insieme, Mafalda di Savoia d’Assia Kassel (1902-1944). Mafalda fu una donna coraggiosa, volitiva, che si trovò ad affrontare una delle realtà più terribili a cui possa andare incontro un essere umano: la (non) vita nel campo di concentramento di Buchenwald.

Per molti fu anche un personaggio controverso a causa dei suoi legami con l’élite fascista e nazista (legami che si fondavano su un precario equilibrio, molto difficili da recidere, vista la sua posizione di altezza reale, di principessa d’Italia, di Etiopia e Albania e di langravia della casata d’Assia Kassel). 

In realtà, come vedremo, la principessa fu vittima non solo della Storia, ma soprattutto della politica del padre e del marito, come spesso accade in casi come questo. Andiamo con ordine e cerchiamo di conoscere Mafalda di Savoia più da vicino, di comprendere in che modo si svolse la sua esistenza tra le due guerre, in un momento molto delicato e tragico per tutto il mondo.



La giovinezza e il matrimonio con Filippo d’Assia Kassel

Le biografie dedicate alla principessa Mafalda ci descrivono una giovane dal carattere gentile, generoso e dolce. Nata a Roma il 19 novembre 1902, crebbe in un ambiente basato su rapporti familiari saldi e amorevoli, in cui non si badava troppo alle regole della vita mondana e l’ostentazione del lusso non era apprezzata.

Fu la regina Elena del Montenegro (Jelena Petrović-Njegoš, 1873-1952), madre di Mafalda e donna discreta e sobria a imprimere nel cuore dei figli cinque figli i valori della moderazione e della famiglia, insieme all’amore per la cultura e la bellezza, poiché proprio in questo modo era stata allevata lei durante la sua infanzia montenegrina. Le idee di Elena vennero sostenute dal marito, il re Vittorio Emanuele III (1869-1947), uomo riservato, taciturno, ma dotato di notevole intelligenza e di una raffinata educazione. 

Mafalda, dunque, fu allevata in una famiglia attenta e protettiva, divenendo una ragazza
Il matrimonio con Filippo d'Assia
mite, tranquilla, ma nello stesso tempo intellettualmente vivace e allegra. La Storia ci ha tramandato un ritratto piuttosto stereotipato della principessa, dipingendola come una donna silenziosa, chiusa. 

In realtà Mafalda era socievole ed estroversa; furono le tragedie a soffocarne la giovialità, soprattutto, come è comprensibile, la prigionia a Buchenwald. Quando la giovane aristocratica conobbe il suo futuro marito, però, tutto questo era ancora molto lontano.

Il principe Filippo d’Assia Kassel (Philipp von Hessen-Kassel und Hessen-Rumpenheim, 1896-1980), figlio del langravio d’Assia Federico Carlo, era il nipote dell’imperatore Federico III di Germania e unico erede della potente dinastia d’Assia dopo la morte dei fratelli durante la Prima Guerra Mondiale.

Incontrò Mafalda a Roma, dove si era trasferito nel 1923 per lavorare come architetto d’interni. Il matrimonio avvenne a Racconigi, il 23 settembre 1925. Fu un’unione d’amore da cui nacquero quattro figli, i veri tesori di Mafalda fino al suo ultimo giorno di vita. La coppia si stabilì vicino al quartiere Parioli, nell’elegante Villa Polissena, regalo di nozze del re Vittorio Emanuele III. 

La splendida dimora venne così chiamata in onore della principessa Polissena Cristina d’Assia-Rotenburg (1706-1735), regina di Sardegna dopo le nozze con Carlo Emanuele III di Savoia (1701-1773). Polissena, seconda moglie del sovrano, fu un personaggio molto importante per la dinastia dei Savoia; mise al mondo sette figli (di cui uno nato morto e l’ultimo nato e deceduto nel 1733), garantendo, così, la discendenza al casato (la prima moglie di Carlo Emanuele, Anna Cristina di Sulzbach, mise al mondo un solo figlio, Vittorio Amedeo, ma morì pochi giorni dopo il parto, nel 1723, mentre il figlio la seguì un paio di anni dopo). 

Inoltre il suo matrimonio rinsaldò i legami tra i Savoia e la casa d’Assia, da cui discendeva. La sua morte, a soli ventotto anni, venne dapprima imputata a delle complicazioni sorte in seguito ai numerosi parti, ma gli storici sostengono che la causa sia, invece, da ricercare in una malattia ancora oggi non identificata. 

Dunque la villa in cui Mafalda abitò con il marito e i figli e che amò fino all’ultimo rappresentava, nel nome, una sorta di continuità storica, un precedente che, in qualche modo, legava la sua vita a quella di Polissena. Divenne, in seguito, anche una specie di “scrigno” dei ricordi, conservati da uno dei figli della principessa, Enrico, che visse a Villa Polissena fino al 1998. 

Mafalda aveva tutto per essere felice: una bella famiglia, una casa da sogno, un destino da favola. Questo era il suo mondo, un microcosmo in confronto alle vicende più grandi e drammatiche che stavano per spazzare via libertà, desideri e vite, compresa la sua, trascinando il mondo intero nel baratro. 


Mafalda vittima del Reich 

Molto si è scritto sulle responsabilità dei Savoia nell’ascesa del fascismo e nell’appoggio al nazismo. Il re d’Italia è stato accusato di pavidità e di aver sottovalutato il pericolo a cui la nazione e il mondo andavano incontro con Mussolini e Hitler sulla scena politica.

Questo articolo deve, per ovvi motivi di spazio e di tematiche, lasciare da parte questo punto tanto importante quanto delicato, per focalizzarsi sulla figura a cui è dedicato, cioè Mafalda di Savoia. 

Nonostante ciò i fatti e gli errori commessi sono ben presenti nella memoria storica. È, inoltre, necessario puntualizzare che attorno ai rapporti tra la dinastia reale e le dittature dell’epoca si discute ancora, così come sulle modalità e le cause della morte della principessa Mafalda questione, questa, che presenta a tutt’oggi dei punti da chiarire. 

Sappiamo che Filippo d’Assia ottenne da Hitler incarichi di rilievo nel Reichstag, dopo aver
Mafalda di Savoia
aderito, nel 1930, al partito nazionalsocialista. La vita apparentemente tranquilla di Mafalda crollò con l’armistizio dell’8 settembre 1943. In quel periodo la principessa si era recata a Sofia, in Bulgaria, per stare vicino alla sorella Giovanna, che aveva appena perso il marito, lo zar di Bulgaria Boris III. 

Sulle cause della morte del sovrano, però, vi sono molti misteri: si sostenne che ad avvelenarlo furono i nazisti (Boris morì per insufficienza cardiaca pochi giorni dopo un incontro con Hitler, ma la morte non fu istantanea, anche per questo si pensò a un avvelenamento). Di contro, invece, Hitler ritenne responsabili i Savoia, in particolare proprio Mafalda e il marito. 

La versione ufficiale attribuì la colpa ai comunisti. Mafalda, da donna coraggiosa e sempre pronta ad aiutare qual era, si precipitò dalla sorella per darle il suo conforto, ignara degli stravolgimenti che già stavano mutando la scena politica italiana e mondiale. Nessuno l’avvertì dell’armistizio se non quando fu troppo tardi.

Forse i genitori di Mafalda, sottovalutando le conseguenze degli eventi di quei giorni, ritennero al sicuro la vita della figlia, dal momento che che aveva sposato un principe tedesco, membro delle SS. 

Persino la principessa non si rese conto, dopo aver saputo dell’armistizio dalla regina di Romania, di essere in gravissimo pericolo: era cittadina tedesca, cosa avrebbero mai potuto farle?

Hitler, invece, si servì proprio di lei per attuare la sua vendetta. Il 22 settembre 1943 Mafalda riuscì a rivedere i suoi figli a Roma, ospiti, in Vaticano, di Monsignor Montini (futuro papa Paolo VI). Subito dopo venne attirata in una trappola dalla Gestapo, che l’arrestò e la deportò nel lager di Buchenwald, mentre Filippo fu rinchiuso in quello di Flossenburg (fu rilasciato dopo un periodo di detenzione, voluta dagli alleati, a Capri e morì nel 1980 a Roma). 


Il drammatico epilogo a Buchenwald 

Durante la prigionia il pensiero e le poche speranze di Mafalda furono per i figli. Alternava il coraggio allo sconforto, rinchiusa nella baracca numero 15, appartata rispetto alle altre. Lì non era più una principessa del casato dei Savoia, ma una prigioniera, benché le fosse riservato un trattamento un po’ più dignitoso.

I tedeschi, infatti, non giudicarono opportuno far conoscere la sua vera identità; per questo
Il francobollo dedicato alla principessa, emesso nel '95
motivo si riferirono a Mafalda chiamandola Frau Von Weber e le proibirono di rivelare il suo vero nome. I giorni nel campo furono duri sia dal punto di vista fisico che psicologico. Nonostante alcune accortezze nei suoi confronti, Mafalda soffrì moltissimo e si indebolì nel corpo e nello spirito. 

Nel 1944 gli alleati bombardarono Buchenwald, colpendo anche la baracca in cui viveva la principessa. Le sue condizioni apparvero subito disperate. Venne trasferita nella “casa di tolleranza” del campo, ma non le furono prontamente prestate le cure necessarie, condannandola alla cancrena del braccio, che le fu amputato e a una morte per dissanguamento. 

Ancora adesso gli storici si chiedono se l’abbandono di Mafalda all’agonia, dopo il bombardamento, sia stato un modo per liberarsi di lei facendo meno rumore possibile. Si ipotizza che anche l’intervento di amputazione sia stato eseguito tardi e con superficialità allo stesso scopo. 

La principessa morì il 28 agosto 1944. Le sue ultime parole furono per i figli e per l’Italia: “Italiani, io muoio, ricordatemi non come una principessa ma come una vostra sorella italiana.”


La principessa martire 

Il corpo della principessa defunta venne sepolto in una fossa comune, con la dicitura “262 eine unbekannte frau” (donna sconosciuta). Persino nella morte le venne negato il riconoscimento della sua identità. 

Solo in un secondo momento i resti vennero riconosciuti e portati nel cimitero degli Assia, nel castello di Kronberg, in una frazione di Francoforte sul Meno. A Mafalda venne riconosciuta un’abnegazione totale nei confronti degli altri: dalla famiglia di nascita ai figli, dai prigionieri nel lager a tutti gli italiani. Per queste sue qualità e per la terribile fine a cui andò incontro è ricordata come “la principessa martire”. 


Bibliografia 

Siccardi Cristina, “Mafalda di Savoia. Dalla reggia al lager di Buchenwald”, Paoline Editoriale Libri, Milano, 1999;

Siccardi Cristina, “Elena la regina mai dimenticata”, Paoline Editoriale Libri, Milano, 1996; 

Oliva Gianni, “I Savoia”, Mondadori, Milano 1999; 

Enrico d’Assia, “Il lampadario di cristallo”, Rizzoli, Milano, 1992;

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