Quest’anno “Divine Ribelli” dedica uno Speciale tutto al femminile alla festa di Halloween. Di settima in settimana, fino al 31 ottobre, ci inoltreremo in alcuni tra i più inquietanti misteri storici che hanno per protagoniste le streghe.
Il primo appuntamento ci porta nell’antico borgo di Triora, per capire meglio cosa accadde tra il 1587 e il 1589, il periodo a cui risale uno dei casi di stregoneria più conosciuti e discussi ancora oggi.
Triora è spesso definita la “Salem italiana”; è sconcertante, infatti, il parallelismo tra le due vicende, almeno per quel che concerne la tragicità dei fatti e la violenta repressione delle presunte “streghe”, benché i due casi si siano svolti secondo dinamiche diverse e dal punto di vista cronologico li separi più di un secolo (il caso delle streghe di Salem avvenne nel 1692).
Cosa accadde davvero nel borgo ligure? Perché la scure dell’inquisizione si abbatté sui suoi abitanti?
Negli ultimi anni del Cinquecento Triora, cittadella fortificata e vincolata a Genova da un rapporto di sudditanza politica, affrontò una gravissima carestia.
L’estate del 1587 portò con sé miseria, frustrazione, impotenza e rabbia, inasprendo le già dure condizioni di vita dei più poveri, oltre alle loro paure superstiziose.
Secondo il pensiero popolare, intriso di ignoranza e smania di trovare un capro espiatorio sul quale gettare le sventure apparentemente senza origini e soluzioni certe, una carestia doveva essere opera del demonio, o meglio, delle sue amanti e serve, ovvero le streghe, le quali agivano in suo nome.
Triora, dunque, invocò a gran voce l’intervento del podestà Stefano Carrega, il quale riuscì a ottenere la presenza, nel paese, del vicario domenicano Girolamo Del Pozzo.
Per le donne di Triora l’arrivo di quest’uomo fu l’inizio di un incubo senza via di scampo.
La caccia alle streghe inizia in chiesa
Durante una celebre predica nella chiesa del borgo Girolamo Del Pozzo istigò i trioresi a fare i nomi delle streghe, denunciando chiunque, anche attraverso la delazione, al minimo sospetto.
Per rendere ancora più efficace il discorso l’inquisitore narrò inquietanti aneddoti riguardanti i poteri occulti delle malefiche, i sabba durante i quali adoravano il demonio e le nefandezze da esse compiute perfino sui corpi dei neonati.
"Musa della notte", Falero, 1896 ca |
Tali calunnie, mescolate al terrore e alla superstizione, innescarono una violenta caccia alle streghe e il successivo processo.
Diciassette persone furono arrestate, sedici donne e un ragazzo. Ed era solo l’inizio.
Il popolo temeva la forza diabolica delle megere e, nello stesso tempo, era aizzato dalla brutale, cieca volontà di estirpare il male alla radice e a qualunque costo, stanando la presenza malefica di casa in casa, per poi gettarla tra le fiamme del rogo.
Secondo il parere popolare, poi, le streghe si riunivano in un luogo ben preciso, da cui era meglio tenersi alla larga, chiamato “la Cabotina” e abitato da prostitute e mendicanti.
Le devastanti torture che Del Pozzo inflisse senza pietà ai poveri accusati ebbero come ovvio risultato confessioni estorte dalle tenaglie del dolore e della paura; nomi su nomi di “streghe” si aggiunsero, così, alla lista nera stilata dal compiaciuto inquisitore.
Quest’ultimo arrivò perfino a far arrestare alcune tra le donne più in vista di Triora, provenienti da illustri e potenti famiglie. Aveva oltrepassato ogni limite e dovette fare i conti con quegli aristocratici che non tollerarono un’accusa tanto infamante sul buon nome del loro casato e sull’onore delle loro donne.
Inoltre non possiamo dimenticare che una condanna per stregoneria implicava la confisca dei beni della condannata; inutile precisare che nessuna famiglia nobile e ricca avrebbe tollerato un simile affronto.
Nel 1588 l’autorità centrale di Genova venne, così, avvertita degli orrori compiuti dal domenicano Del Pozzo, il quale dovette giustificarsi non solo con i potenti di Triora, ma anche con il vescovo di Albenga, di cui era vicario.
Le accuse contro le donne più in vista caddero e l’inquisitore dovette andarsene dal borgo.
La caccia continua: il processo a Franchetta Borelli
Benché Girolamo Del Pozzo avesse abbandonato Triora, ben tredici donne trascorsero l’intero, gelido inverno in carcere, sperando di potersi riscattare con un successivo processo.
"Il sabba", Goya 1797-98 |
Scribani, però, non si comportò diversamente da Del Pozzo; fece arrestare e torturare senza pietà altre donne, avido di nomi e notizie.
A quel punto accadde un fatto piuttosto singolare, almeno se guardiamo all’esito del primo processo di Triora.
Venne arrestata Franchetta Borelli, una tra le signore più importanti della città. Neppure la famiglia riuscì a evitarne l’arresto e Scribani non si fece intimidire neanche per un attimo dal potere dei Borelli.
Franchetta, all’epoca dei fatti sessantenne, era stata additata dagli accusati come una strega influente e sembra fosse una guaritrice.
Si diceva persino che, in gioventù, fosse stata una prostituta.
Tutto ciò rese Scribani ancora più crudele nei suoi confronti.
Il fratello di Franchetta intervenne, pagando una cauzione per riscattare la libertà della congiunta.
La donna, però, terrorizzata da ciò che aveva subito, fuggì da Triora, scatenando la vendetta dell’inquisitore; si arrese, consegnandosi alle autorità quando venne a sapere che Scribani aveva fatto arrestare suo fratello.
Seguirono giorni terribili per lei, fatti di torture al limite della sopportazione.
Scribani non mostrò alcuna compassione e arrivò a torturare Franchetta per ventuno ore consecutive!
La fine?
Cosa accadde a Franchetta Borelli, alle trioresi trattenute a Genova e alle altre accusate incarcerate nel borgo?
Purtroppo non lo sappiamo con certezza. Non abbiamo documenti, o meglio, tali prove della loro sorte non sono pervenute fino a noi.
Forse vennero mandate al rogo, magari alcune di loro riuscirono a evitarlo.
Si dice che Franchetta sia morta qualche anno dopo la fine del processo, da donna libera, ma non possiamo esserne certi.
Ciò che rimane di questa triste storia è l’orrore, il fanatismo, l’ignoranza, la
superstizione soprattutto contro le donne, considerate a priori anime deboli e, dunque, soggette al fascino del male.
"Esorcismo" Goya, 1797-98 |
Persino l’origine latina del nome Triora reca su di sé un’ombra oscura, che contribuisce a rafforzare il mistero attorno alle antiche abitanti del borgo: “tria ora”, ovvero “tre bocche” sarebbe, infatti, il simbolo della creatura mitologica Cerbero. Le tre bocche di Cerbero, inoltre, sono lo stemma del paese.
Furono davvero streghe Franchetta e le altre? Probabilmente no o, almeno, non nell’accezione comune del termine.
Molte donne coinvolte nei processi per stregoneria, del resto, furono esperte di erbe e unguenti, levatrici, depositarie di un’antica conoscenza. Spiriti liberi, determinati, purtroppo piegati dagli atroci tormenti dei più sofisticati strumenti di tortura.
Questo potrebbe essere stato anche il caso di Triora.
Di certo la “colpa” delle accusate fu quella di essere donne e, in quanto tali, “favorite” del demonio.
Dopo aver letto questa storia, non possiamo dimenticare ciò che accadde a Triora; quelle vite spezzate sono, ancora oggi, un monito per l’umanità, affinché eviti il veleno della violenza, dell’intolleranza, dell’invidia e dell’ignoranza.
Bibliografia
Ippolito Ferrario, “Triora, anno domini 1587. Storia della stregoneria nel Ponente ligure”, De Ferrari, 2005;
Stella Giordano, “L’inquisizione e le streghe di Triora”, Booksprint, 2014;
Stefano Moriggi, “Le tre bocche di Cerbero. Il caso di Triora: le streghe prima di Loudun e di Salem”, Bompiani, 2014;
Roberto Negro, “Bagiue. Le streghe di Triora”, Frilli, 2009.
Antonietta Breda, Ippolito Ferrario, Gianluca Padovan, “I segreti di Triora. Il potere del luogo, le streghe e l’ombra del boia”, Ugo Mursia Editore, 2010;
Vanna De Angelis, “Il libro nero della caccia alle streghe”, Piemme, 2004;
Vanna De Angelis, “Le streghe. Storia di donne che nacquero fate e morirono amanti del diavolo”, Piemme 2002.
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